Thailandia: impariamo da loro come raccontare le tragedie
I 12 bambini rimasti intrappolati nella grotta di Tham Luang e il loro allenatore sono stati tratti in salvo
Il mondo intero, che ha seguito la vicenda, può finalmente tirare un sospiro di sollievo. Degno di lode è stato il modo in cui si sono svolte le operazioni di salvataggio. Anche dal punto di vista mediatico: l’Italia deve trarne una lezione per il futuro. È innegabile infatti un certo gusto per il dettaglio macabro nel giornalismo italiano: basta seguire alcuni dei numerosi programmi che trattano di cronaca nera per rendersene conto. Pochi giorni fa mi ha colpito una notizia intitolata “Orrore a Cesena: Carabinieri trovano il nigeriano ancora attaccato alla ragazza che stava stuprando”. Incommentabile.
Le autorità thailandesi hanno mostrano un’estrema sensibilità nei confronti dei ragazzi. La domenica mattina, in attesa che cominciassero le operazioni di salvataggio, tutti i giornalisti e le persone non addette ai soccorsi sono stati allontanati dalle vicinanze della grotta. A nessuno è stato permesso di avvicinarsi, nemmeno ai genitori. E nessuno conosceva l’identità dei ragazzi che di ora in ora venivano tratti fuori dalla grotta.
Ragazzi difesi da occhi indiscreti
Una volta usciti, i baby calciatori sono stati trattenuti nell’ospedale da campo e poi trasportati in elicottero nell’ospedale di Chiang Rai. Nel metterli sull’elicottero, si è provveduto a coprirli con una serie di grandi ombrelli, in modo che non fossero fotografati o filmati. Una delicatezza che in Italia non sarebbe mai esistita. Anzi, le foto dei ragazzi stremati sarebbero state al centro di tutti i telegiornali e giornali. E talk show. Così come l’Italia non avrebbe perso l’occasione di sbattere in prima pagina i genitori che riabbracciavano i figli.
Inoltre per tutelare la loro salute mentale i bambini non potranno vedere la televisione o leggere giornali e notizie sulla loro vicenda. La prima cosa che guarderanno in tv sarà la finale dei mondiali. A rendere note le condizioni di salute dei ragazzi è stato in una conferenza stampa Jesada Chokdumrongsuk, vicedirettore generale del ministero della sanità pubblica. Non c’è stata una ressa intorno ai genitori o, peggio, ai bambini, per l’imbarazzante domanda “Come ti senti?“. La risposta è male: come vuoi che stiano dei bambini che sono stati per quasi due settimane intrappolati in una grotta? In Thailandia non è successo.
Perché sono così pessimista verso il giornalismo italiano
L’Italia deve imparare dalla Thailandia come raccontare le tragedie. Per capire il perché, oltre i tanti casi che si leggono tutti i giorni, bisogna ricordare il fatto di cronaca che ha avuto più risonanza nella storia del nostro paese. Il 10 giugno 1981 Alfredino Rampi, un bambino di sei anni, è caduto in un pozzo a Vermicino, non lontano da Roma. Il modo in cui i giornalisti hanno deciso di raccontare la vicenda ha cambiato per sempre il giornalismo italiano.
Qualsiasi forma di pietà e di sensibilità è stata eliminata: in nome dell’audience tutto era possibile. Era possibile chiedere a una madre che si trovava sul ciglio del pozzo nel quale il figlio era intrappolato da più di 24 ore “Lei ha ancora qualche speranza?” Come se una madre potesse smettere di avere la speranza di riabbracciare il proprio figlio. Un microfono è stato calato vicino al bambino per far sentire a tutto il paese le sue urla strazianti, il suo pianto inconsolabile mentre chiamava la mamma.
La tragedia come fonte di guadagno
Mentre la madre disperata chiedeva quanti metri avesse scavato la trivella, che doveva costruire un pozzo parallelo per trarre in salvo Alfredino, un operatore l’ha girata perché il suo volto fosse immortalato dalle telecamere. Il caso di Vermicino ha dato origine alla diretta più lunga della storia della RAI: 18 ore. La conclusione è stata tante immagini strazianti e la morte del bambino. La storia di Vermicino ha dato origine a un circo mediatico, un reality show terrificante. Migliaia di curiosi si sono ammassati attorno al pozzo. Venditori ambulanti hanno provveduto a guadagnare sulla tragedia vendendo panini e bibite ai presenti. Mancavano solo i pop corn per sentirsi come al cinema.
Come documentato da La storia siamo noi, la folla era tale che non c’era neanche lo spazio necessario per far passare l’ambulanza, che infatti era bloccata. La confusione era totale.
Nelle imbarazzanti operazioni di soccorso che continuavano senza alcuna logica, tentando la fortuna, numerosi volontari sono stati calati nel pozzo nel tentativo di afferrare il bambino. Uno di questi era Claudio Aprile, speleologo di 29 anni. Prima di essere calato nel pozzo è stato intervistato. Non era forse più urgente la missione di salvataggio dell’intervista? Un altro, Angelo Licheri, è stato fotografato e filmato appena uscito dal pozzo, ferito e ricoperto di sangue. Applausi da stadio festeggiavano non si sa cosa. Era la prassi per tutti i volontari che uscivano dal pozzo. Prima di essere portato all’ospedale Licheri ha dovuto rispondere alle domande dei giornalisti. Non era forse prioritario pensare alla sua salute? Sia fisica che mentale.
Ecco come il giornalismo italiano racconta le tragedie
Sono passati quasi 40 anni da quel terribile incidente. È completamente diverso da quanto accaduto in Thailandia. Alfredino era molto più piccolo, da solo e in un buco, impossibilitato a muoversi. Le tecnologie da allora si sono evolute e il salvataggio dei 12 ragazzini probabilmente non sarebbe stato possibile nel 1981. Il modo di raccontare le tragedie e di rispettare il dolore umano dovrebbe però essere sempre lo stesso. Perciò è importante ricordare Vermicino, perché è da allora che la morte è diventata normalità, il dolore fonte di spettacolo. La sofferenza il motore dei programmi tv.
La Thailandia ci ha offerto una lezione di umanità, cerchiamo di imparare.
Camilla Gaggero
Condivido appieno il suo pensiero.