Senza maschera

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Memoria

Diario del tempo passato in Germania del prigioniero Bartolomeo Bozzano (parte 1)

16 giugno 1944: una data impressa nella memoria di Genova

Bartolomeo Bozzano
La foto è stata scattata nel 1936 quando Bartolomeo Bozzano aveva 21 anni. Era in servizio di leva a Casale Monferrato

1288 operai degli stabilimenti della S. Giorgio, Cantiere Ansaldo, Piaggio e SIAC sono deportati in Germania. È l’ordine imposto dal prefetto Basile per punirli. Non sono partigiani eppure hanno commesso una colpa imperdonabile: il 10 giugno hanno scioperato per i propri diritti. E qualsiasi forma di protesta era stata vietata dal ’26 con le leggi fascistissime. Mentre stanno lavorando, la ditta viene circondata da soldati tedeschi e fascisti repubblichini che li caricano sui treni diretti a Mauthausen.

Nonostante siano nemici della Germania, i genovesi deportati non vengono considerati detenuti politici. Provenendo da aziende avanzate, sono mandati a lavorare come civili, sebbene siano trattati come bestie. Anche i ragazzi li guardano con disprezzo e sputano loro addosso.

Pochi sopravvivranno ai maltrattamenti, alle violenze, alle condizioni disumane e a temperature che toccano i 20 gradi sotto zero. Quattro di loro hanno tenuto un diario: Orlando Bianconi, Francesco Rovida, Mario Magonio e Bartolomeo Bozzano. Quest’ultimo è rimasto inedito ed è stato digitalizzato dalla figlia Maria. Suo fratello Filippo, vicepresidente dell’Anpi di Genova-prà, ha permesso a noi di Senza maschera di averne una copia. La storia di Bartolomeo Bozzano doveva essere raccontata.

Perché Bartolomeo ha scritto un diario

Bartolomeo aveva poca dimestichezza con la penna: aveva finito la quinta elementare vent’anni prima. A questa si aggiunge la difficoltà materiale: il diario è stato scritto inizialmente su carta straccia con carboncino. Una volta tornato a casa Bartolomeo lo ha ricopiato su un quaderno e ha aggiunto una nota per spiegare perché aveva deciso di scriverlo.

Ho scritto tutto questo […] per creare una testimonianza di quello che la società un giorno ci offerse: dopo le tante fatiche che i popoli avevano fatto per vivere e migliorare il tenore di vita, invece di averne un beneficio, i loro risparmi finirono nelle mani di quei pochi che governavano e così furono adoperati per fare un macello dell’umanità stessa, con distruzione di ogni opera o valore.

Un amico diceva sempre che questi fatti non devono e non possono passare e finire così come se niente fosse, che alla fine i popoli devono fare giustizia, punendo i colpevoli, e la faranno, perché, se no, dimenticare sarebbe una colpa, una colpa per la parte onesta che non ha corretto i malvagi, altrimenti col tempo si dimentica e dimenticando può ripetersi. Io, per non dimenticare, feci questa nota al soprascritto e riguardo alla giustizia ci penseremo tutti assieme.

La partenza per la Germania

Alle 18.30 del 16 giugno del ’44 il treno con gli operai parte per la Germania, “verso questa maledetta terra, che solo adesso conosco quanta gente oltre a me ha fatto soffrire e morire con nessuna colpa”. Così la descrive Bartolomeo. Quando arriva a Mauthausen, senza aver dormito per due giorni e completamente bagnato per la pioggia battente, lo sconforto è tanto:

Non ricordo più di avere una famiglia, non mi importa più della mia esistenza, mi hanno portato al punto culminante della tensione da sperare che facciano di me quello che vogliono, purché facciano presto a dare fine a questa tragedia disperata.

La permanenza a Mauthausen

I giorni passano lenti, senza fare nulla, nutriti con solo un panino tra tre o quattro persone, un po’ di caffè e un po’ d’acqua con lenticchie, spacciata per brodo. Il 30 giugno i lavoratori genovesi vengono trasferiti nello stabilimento di Linz, nel lager n° 31. Dal 7 agosto Bartolomeo incomincia a lavorare, dichiarando di essere gruista. In realtà non è mai salito su una gru in vita sua, ma fare il manovale edile gli sarebbe costata la vita: 11 ore con pala e picco avrebbe comportato una morte certa. Soprattutto con 6 ore di riposo al giorno e chilometri da fare a piedi, con gli zoccoli da lavoro. Inoltre chi sbaglia, anche solo per inesperienza, viene ucciso subito. Perché chi sbaglia è un sabotatore.

Nonostante il pericolo, fare il gruista gli salverà la vita. Stando sospeso sul metallo fuso soffrirà meno degli altri il freddo dell’inverno tedesco. Un mese in quell’inferno e già la fisionomia è cambiata:

Abbiamo perso ogni aspetto naturale, persino l’andatura è cambiata, per colpa degli zoccoli: infatti fa caldo, il piede suda, dentro al legno senza calze scivola su e giù e le piaghe crescono. Sulle fotografie che ci hanno scattato per lo stabilimento siamo irriconoscibili: dimagriti, anneriti, con sguardi spaventosi.

La fatica aumenta, la stanchezza e la fame sembrano non esaurirsi mai

Eppure la speranza non muore, nei momenti più difficili risorge dalle ceneri come una fenice. Così, dopo lo sconforto provato all’arrivo a Mauthausen, ritorna il ricordo dei propri cari.

Di giorno in giorno mi riprendo, mi rammento di avere avuto una casa, una famiglia: dove c’è ancora gente che mi ama e mi pensa. Mi sembra impossibile, eppure è la verità: come fa una mamma a dimenticarsi di un figlio che non vede più tornare a casa dal lavoro e sa che gente più che barbara l’ha portato via senza che abbia fatto niente? Forse non ha ancora interrotto il primo pianto.

I giorni trascorrono tra lavoro, strada e attesa (per mangiare e bere ci sono code da migliaia di persone). A ciò si aggiungono gli incessanti allarmi e i bombardamenti, finché vengono presi di mira gli stessi stabilimenti. Il 9 settembre Bartolomeo viene trasferito al lager 40. Non si arriva più a lavoro in treno come prima, ma bisogna fare a piedi 6 km, partendo alle 4 e 40 di mattina perché non è tollerato arrivare dopo le 6.

Nel complesso la vita lì è migliore: si mangia di più e si riceve la posta, un momento desiderato da tempo.

[Il signor Pini] trova il mio pacco, lo guardo, mi ritiro da una parte col pianto agli occhi, frugo dentro tanto da trovare la posta […]. Sul tram mi metto a leggere a tratti e a tratti a piangere, ma forte come un bambino e dire che il tram è completo ma nessuno si cura di questi casi, sono abituati a vedere di peggio. […] Abbiamo trent’anni ma non importa: così è il giro della vita, ci sentiamo troppo staccati dal mondo, da chi ci circonda, oltre a tutte le sofferenze che sopportiamo c’è il pericolo sempre imminente della morte.

Camilla Gaggero

Alcune storie devono essere raccontate e meritano tutto lo spazio di cui hanno bisogno. Perciò ho deciso di spezzare la storia di Bartolomeo in due articoli, in modo da poter riportare più parti del diario, così ricco di significato e ricordi. La seconda parte verrà pubblicata a breve.
Diario del tempo passato in Germania è il titolo originale, scelto dallo stesso Bartolomeo Bozzano.