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Memoria

Diario del tempo passato in Germania del prigioniero Bartolomeo Bozzano (parte 2)

Bartolomeo Bozzano aveva solo 29 anni quando è stato deportato il 16 giugno 1944

Insieme a lui altri 1280 operai sono partiti per la Germania, perché avevano osato scioperare. E dovevano essere puniti. Durante la prigionia, prima a Mauthausen e poi a Linz, Bartolomeo ha scritto un diario, che noi di Senza maschera abbiamo deciso di proporre in due articoli, per non omettere nulla. Ecco la prima parte.

Con l’arrivo dell’inverno del ’45, le condizioni di vita al lager peggiorano. Il freddo aumenta, fino a raggiungere i 20 gradi sotto zero. I bombardamenti sono diventati quotidiani, per cui non si lavora più nelle fabbriche ormai distrutte, ma all’aperto. Le guardie tedesche non ammettono che si arrivi tardi: non esistono sveglie, ma se si arriva dopo le sei per più di due giorni si è mandati ai campi di lavoro. E lì anche un solo giorno è troppo per poter sopravvivere.

Qui con la disciplina non si scherza: ogni nostro passo è controllato e, anche se involontariamente, può portare la pena di morte; hanno seminato un terrore tale che piegano chiunque, anche i più dritti o squilibrati. È in questo modo che tutti tacciono e la guerra continua, mentre milioni di creature soffrono torture e umiliazioni indescrivibili.

I detenuti politici

La razione di cibo diminuisce e la fame diventa sempre più insopportabile, soprattutto per chi fa 12 ore di lavoro. Eppure c’è chi vive in condizioni peggiori, come i detenuti politici:

Di fronte a quelli mi consolo, perché io sono un signore, per me è indescrivibile la loro vita, perciò lascio a loro che scrivano, dicano a tutto il mondo quello che stanno passando, le botte che prendono, le penitenze che fanno.
Tutti i giorni ne muoiono, si vedono che si abbandonano, non ne possono più, li uccidono, ma sono convinto che qualcuno sopravviverà a tutto questo per raccontare al mondo intero quello che hanno sofferto.

[…] Tutti vestiti in uniforme a strisce bianche e nere, testa rasata, zoccoli di legno ai piedi, poco mangiare e tante botte; accompagnati sempre dalle SS sul lavoro, per strada e al lager, quello è il loro movimento giornaliero; in più carichi di pidocchi e tutti dipendenti da Mauthausen.
[…] Finché sono sani, li torturano tanto che poi qualcosa deve capitare per forza e allora sono vari i metodi per finirli; uno dei più comuni, per chi si sente male e va all’infermeria, è una iniezione di benzina con altre miscele tossiche che iniettata al cuore provoca la morte. Dato che i detenuti normalmente evitano di chiedere visita, vengono notati, quando sono sfiniti e non si reggono più: li prendono a calci, pugni e nerbate, poi li finiscono con la rivoltella.

Bartolomeo

La morte di Mussolini e Hitler

La fine della guerra è vicina, i bombardamenti aumentano, mentre russi e americani avanzano. È evidente che la Germania stia perdendo la guerra, ma i prigionieri continuano a lavorare, per sgomberare le macerie dalle strade e dai binari. Alcuni campi di lavoro vengono sciolti, perché le SS sono andate vie. Ma essere liberi significa essere senza cibo. Le sorti della guerra diventano ogni giorno più chiare.

Quelli che hanno inventato queste leggi si credevano immortali, invece li abbiamo visti finire i loro giorni a breve distanza uno dall’altro: il 27-4-1945 è giunta qui la voce che il Duce è stato catturato dai partigiani e da loro stessi impiccato ed esposto a Milano al pubblico. A distanza di tre giorni, e cioè il 30-4-1945, Hitler è rinvenuto morto a Berlino, dove, secondo lui, si era recato a combattere a fianco del suo popolo. Tutto finisce!

L’arrivo degli americani

Il 5 maggio i carri armati americani arrivano nel lager, segnando la fine della prigionia inizia il 16 giugno del ’44. Sembra quasi un sogno.

Mi lascia nella calma a pensare se è proprio vero che ormai siamo liberi, che tutto è finito.
Non so che fare: se penso a tutte le sofferenze trascorse vorrei piangere, perché allora non avevo tempo, se penso al presente vorrei scoppiare di gioia.
Rientriamo in cameretta tutti i componenti, ci diamo la mano, uno per uno, a vicenda, con abbracci e baci, siamo come tanti fratelli, abbiamo vissuto tutte le sofferenze dell’inverno assieme, ci siamo visti arrivare uno con l’altro ogni sera con i segni della stanchezza sul volto e il passo lento e pesante.

Alcune guardie ucraine rimangono nelle caserme, non sapendo da che parte schierarsi; alcuni prigionieri ne approfittano per vendicarsi. Per Bartolomeo invece la vendetta sarà il ritorno a casa. Ma la partenza tarda ad arrivare e, sebbene la vita al campo sia migliorata, l’attesa è insopportabile. I primi a rimpatriare sono i francesi, subito dopo i russi.

Le testimonianze degli altri detenuti

Nel frattempo si diffondono racconti sulle sofferenze provate in prigionia, così un amico di Bartolomeo:

Mi racconta pure che qui ci sono dei politici provenienti da Mauthausen dopo la liberazione che raccontano che, all’arrivo degli americani, erano destinati tutti a morire, infatti i tedeschi avevano preparato la conduttura del gas per ogni cella. Ma, nel momento in cui il colonnello stesso, comandante la piazza, si reca nella cabina centrale per aprire, viene pedinato da un capitano che giunge in tempo, con la rivoltella impugnata, per impedirgli l’azione di massacro che stava compiendo. Questo capitano, che nel suo passato era già ben visto dai detenuti per la sua moderata brutalità, all’entrata degli americani nel campo viene portato a loro in trionfo dai deportati stessi.

Un altro racconta di come di 50 paesani entrati a Mauthausen solo in due siano ancora vivi.

Quando il personale era esuberante veniva presto eliminato e, dato che questo succedeva sempre, allora il forno crematorio funzionava di continuo, così pure la sala dove li chiudevano dentro a centinaia e poi aprivano il gas: questo era il metodo più pratico che adottavano. Inoltre, per ogni squadra condotta al lavoro, le sentinelle ricevevano l’ordine di rientrare con la colonna diminuita di quei tanti uomini.

Quello passato da altri prigionieri è quasi impossibile da credere, soprattutto trovandosi nel “ventunesimo secolo, con gente che sembrava possedesse il culmine della civiltà e pretendeva di insegnarla al mondo intero”. Molti aspettano il rimpatrio in infermeria, ridotti a pelle ossa per aver perso fino a 40 kg oppure affetti da tifo o altre malattie.

Il ritorno

Il ritorno per gli italiani tarda ad arrivare, perché è il governo a doversene occupare, ma già è impegnato in una nuova guerra, contro il Giappone. Saputa la notizia, lo sconforto è molto. Il 16 giugno del ’45 Bartolomeo è ancora nel lager: è già passato un anno da quando è stato caricato sul treno diretto in Germania. Il suo campo è messo in quarantena per una caso di tifo petecchiale, nessuno può uscire e bisogna fare la disinfestazione.
Finalmente il 22 giugno per Bartolomeo inizia il rimpatrio, non senza ulteriori difficoltà e sofferenze. Ma almeno casa è vicina.

Arriviamo a Genova che è ormai notte, verso mezzanotte a Voltri e all’una alla tanto desiderata casetta. Tra l’allegria di tutti, tra una chiacchierata e l’altra si parla di tutto tranne che di dormire.
Per me e Benedetto (fratello minore, ndr), che restiamo alla finestra, ecco che spunta l’alba del giorno 29-6-45, festa di S. Pietro. Mi fa una sensazione mai provata: dopo un anno di tale vita e la testa tanto confusa, quasi non ricordavo più nemmeno il panorama. Dalla calma finestra lo vedo pian piano schiarirsi sempre di più davanti ai miei occhi, è un’alba meravigliosa.

Un diario per non dimenticare

Sono rare le testimonianze dei deportati sopravvissuti, perciò sono così importanti. Lo stesso Bartolomeo, benché abbia tenuto un diario per lasciare un ricordo di quanto passato, difficilmente parlava con i suoi figli della prigionia. Nel dopoguerra era considerata quasi una vergogna l’essere stati deportati: si era come sovversivi. Anche i familiari potevano subire discriminazioni o incontrare difficoltà sul lavoro, come racconta Filippo, il figlio di Bartolomeo.

La storia di Bartolomeo deve ricordare che non solo i partigiani hanno subito le angherie fasciste e naziste. Non solo coloro che hanno impugnato un’arma e combattuto il nemico, ma anche tutti coloro che erano in disaccordo con il Duce. I diritti dei lavoratori non esistevano e chi scioperava era mandato in Germania. Ecco le cose buone fatte da Mussolini.

Camilla Gaggero