Senza maschera

La verità libera dalle ipocrisie

Cultura

“Lettera a un bambino mai nato” di Oriana Fallaci

Lettera a un bambino mai nato, pubblicato nel 1975 da Rizzoli

“Stanotte ho saputo che c’eri: una goccia di vita scappata dal nulla”. Prima ancora di qualsiasi test, la protagonista capisce che dentro di lei sta nascendo una nuova vita. Fin da subito dovrà affrontare  i pregiudizi della società italiana degli anni ’70, che non accetta una nubile incinta. Non può esistere un rapporto esclusivo madre-figlio: a Maria e Gesù si è aggiunto Giuseppe.

Quel che non capisco è perché, quando una donna annuncia di essere legalmente incinta, tutti si mettono a farle feste e toglierle di mano pacchetti e supplicarla di non strapazzarsi, restare tranquilla. Che bella cosa, felicitazioni, si accomodi qui, si riposi. Con me rimangono fermi, zitti, o fanno discorsi sull’abortire.

Lo stesso padre del bambino le chiede di “disfarsene”. La sua amica, che ha già avuto due aborti, cerca di convincerla che non si tratta altro che di un grumo di cellule. Il suo datore di lavoro vede quella gravidanza come qualcosa di scomodo per la sua carriera. La donna decide comunque di tenere il bambino e inizia con lui un lungo monologo, in cui si alternano dolcezza e rabbia, felicità e delusione, sicurezza e dubbi.

La madre cerca di spiegare il senso della vita al bambino che deve nascere. Una vita che per lei è stata amara fin dall’infanzia, quando si convinse che per cogliere un fiore una donna dovesse morire, quando fu costretta per un pezzo di pane a lavare le mutande sporche dei soldati americani. Il bambino, che ora galleggia libero nel suo uovo, sarà destinato a un mondo di violenza:

Anche questa è una legge: o me o te. O mi salvo io o ti salvi te. E guai a dimenticarla: qui da noi ciascuno fa del male a qualcuno, bambino. Se non lo fa, soccombe. E non ascoltare chi dice che soccombe il più buono. Io non ho mai preteso che le donne fossero più buone degli uomini, che per bontà meritassero di non morire. Essere buoni o cattivi non conta: la vita quaggiù non dipende da quello. Dipende da un rapporto di forze basato sulla violenza. La sopravvivenza è violenza.


Nascendo conoscerà l’ingiustizia:

L’ingiustizia che divide chi ha e chi non ha. L’ingiustizia che lascia questo veleno in bocca, mentre la madre incinta spolvera il tappeto altrui. […] L’uguaglianza, bambino, esiste solo dove stai tu: come la libertà. Nell’uovo e basta siamo tutti uguali. Ma è proprio il caso che tu venga a conoscere tali ingiustizie, tu che lì vivi senza servire nessuno?

La gravidanza si complica, la donna è costretta all’immobilità, l’iniziale entusiasmo è del tutto scomparso. Il figlio sembra quasi un vampiro che succhia tutte le forze, che ruba il respiro.

Ma cos’è questa vita per cui tu, che esisti non ancora fatto, conti più di me che esisto già fatta? Cos’è questo rispetto per te che toglie rispetto a me? Cos’è questo diritto ad esistere che non tiene conto del mio diritto ad esistere?

Il bambino smetterà di crescere e morirà nel suo grembo. Non per questo sarà assolta dalle sue colpe, a cui la condannano oltre il medico anche il padre del figlio e il suo datore di lavoro.

Un libro ancora oggi attuale

A oltre 40 anni dalla pubblicazione, Lettera a un bambino mai nato colpisce per la sua attualità, in un paese in cui ancora si discute sulla legittimità della legge sull’aborto. Con una scrittura coinvolgente e a tratti tagliente la Fallaci offre interessanti spunti di riflessione. Si tratta di un libro che tutti, uomini compresi, dovrebbero leggere almeno una volta nella vita.

Camilla Gaggero